Continuiamo la pubblicazione delle riflessioni di A. Spadaro che commentano l’Enciclica Fratelli tutti.
In questa seconda parte l’attenzione è fissata sulla necessità di pensare e generare un mondo ospitale, capace di andare al di là di se stessi per incontrare i bisogni di tutti.
L’apertura all’altro è la strada per stabilire amicizia sociale e fraternità.
Lo scisma tra singolo e comunità
Il primo passo che Francesco compie è quello di compilare una fenomenologia delle tendenze del mondo attuale che sono sfavorevoli allo sviluppo della fraternità universale. Il punto di partenza delle analisi di Bergoglio è spesso – se non sempre – quello che ha imparato dagli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, che invitava a pregare immaginando come Dio vede il mondo[6].
Il Pontefice osserva il mondo e ha l’impressione generale che si stia sviluppando un vero e proprio scisma tra il singolo e la comunità umana (cfr n. 30). Un mondo che non ha imparato nulla dalle tragedie del Novecento, senza senso della storia (cfr n. 13). Sembra che ci sia un regresso: i conflitti, i nazionalismi, il senso sociale smarrito (cfr n. 11), e il bene comune sembra essere il meno comune dei beni. In questo mondo globalizzato siamo soli e prevale l’individuo sulla dimensione comunitaria dell’esistenza (cfr n. 12). Le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori, e sono favoriti i più forti.
E così Francesco monta i tasselli del puzzle che illustra i drammi del nostro tempo.
Il primo tassello riguarda la politica. In questo contesto drammatico, le grandi parole quali democrazia, libertà, giustizia, unità perdono la pienezza del loro significato, e risultano liquefatti la coscienza storica, il pensiero critico, la lotta per la giustizia e le vie dell’integrazione (cfr nn. 14; 110). Ed è durissimo il giudizio sulla politica come a volte oggi è ridotta: «La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace» (n. 15).
Il secondo tassello è la cultura dello scarto. La politica ridotta a marketing favorisce lo scarto globale e la cultura del quale è frutto (cfr nn. 19-20).
Il quadro prosegue con l’inserimento di una riflessione sui diritti umani, il rispetto dei quali è un prerequisito per lo sviluppo sociale ed economico di un Paese (cfr n.22).
Il quarto tassello è l’importante paragrafo dedicato alle migrazioni. Se deve essere riaffermato il diritto a non emigrare, è vero pure che una mentalità xenofoba dimentica che i migranti devono essere protagonisti del loro stesso salvataggio. E con forza afferma: «È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità» (n. 39).
Il quadro prosegue con il quinto tassello: i rischi che la stessa comunicazione oggi pone. Con la connessione digitale, si accorciano le distanze, ma si sviluppano atteggiamenti di chiusura e di intolleranza, che alimentano lo «spettacolo» messo in scena dai movimenti di odio. Abbiamo invece bisogno «di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana» (n. 42).
Il Pontefice, tuttavia, non si limita a fornire una descrizione asettica della realtà e del dramma del nostro tempo. La sua è una lettura immersa in uno spirito di partecipazione e di fede. La visione del Papa, se è attenta alla dimensione socio-politica e culturale, è però radicalmente teologica. La riduzione all’individualismo che qui emerge è frutto del peccato.
Un estraneo sulla strada
Nonostante le ombre dense descritte nelle pagine di questa Enciclica, Francesco intende fare eco a tanti percorsi di speranza, che ci parlano di una sete di pienezza, di un desiderio di toccare ciò che riempie il cuore e solleva lo spirito verso le grandi cose (cfr nn. 54-55).
Nel tentativo di cercare una luce, e prima di indicare alcune linee d’azione, Francesco propone di dedicare un capitolo alla parabola del Buon Samaritano. L’ascolto della Parola di Dio è un passaggio fondamentale per giudicare evangelicamente il dramma del nostro tempo e trovare vie di uscita. Così il Buon Samaritano diventa un modello sociale e civile (cfr n. 66). L’inclusione o l’esclusione dei feriti sul ciglio della strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Il Santo Padre, infatti, non si ferma al livello delle scelte individuali, ma proietta queste due opzioni al livello delle politiche degli Stati. E tuttavia torna sempre al livello personale per timore che ci si senta deresponsabilizzati.
Pensare e generare un mondo ospitale: una visione inclusiva
Il terzo passo dell’itinerario che Francesco ci fa compiere è quello che potremmo definire col Pontefice dell’«al di là», cioè della necessità di andare oltre se stessi. Se il dramma descritto nel primo capitolo era quello della solitudine dell’uomo consumatore chiuso nel suo individualismo e nella passività dello spettatore, occorre trovare una via d’uscita.
E il primo dato di fatto è che nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica esistenza umana (cfr n. 86). L’amore crea legami ed espande l’esistenza. Ma questa «uscita» da sé non si riduce a un rapporto con un piccolo gruppo, o ai legami familiari: è impossibile capire se stessi senza un tessuto di relazioni più ampio con altri che ci arricchiscono (cfr nn. 88-91).
Questo amore, che è apertura all’«oltre» e «ospitalità», è il fondamento dell’azione che permette di stabilire l’amicizia sociale e la fraternità. Amicizia sociale e fraternità non escludono, ma includono. Prescindono dai tratti fisici e morali o, come scrive il Papa, dalle etnie, dalle società e dalle culture (cfr n. 95). La tensione è verso una «comunione universale» (ivi), verso «una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri» (ivi). Questa apertura è geografica ma ancor più esistenziale.
Tuttavia, lo stesso Pontefice percepisce, a questo punto, il rischio di un fraintendimento, quello del falso universalismo di chi non ama il proprio popolo. È forte anche il rischio di un universalismo autoritario e astratto, che mira a omogeneizzare, uniformare, dominare. La custodia delle differenze è il criterio della vera fraternità che non omologa, ma accoglie e fa convergere le diversità, valorizzandole. Si è fratelli perché nel contempo si è uguali e diversi: «C’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali»[7].