di Gabriele Tomasoni
Poco prima dell’alba inforco la mia bicicletta per recarmi al lavoro. Amo il buio, il silenzio, magari un po’ di freddo perché mi permettono di pensare, di raccogliermi nei miei pensieri prima di iniziare la giornata.
Così anche stamane, come sempre, esco per attraversare la città e recarmi in Ospedale. C’è però qualcosa di diverso. Le strade sono più deserte del solito, il silenzio è più silenzio, tutti sono rintanati in casa.
Come ogni mattina il primo gesto è di iniziare con il S. Rosario, in fondo la pedalata è automatica, la concentrazione non è necessaria. Ave Maria… e subito vengo distratto dal suono stridulo di un’ambulanza che, in lontananza avverte l’ennesimo caso COVID 19. Il pensiero è quasi obbligatorio. Signore fa che non abbia bisogno di Rianimazione, non sapremmo come fare. Pedalo e mi reimmergo nelle mie Ave Maria… Ma come posso oggi aumentare i posti di Terapia Intensiva? Forse recuperando le sale operatorie o gli spazi dedicati ad altro. Ave Maria… Qualche passante con il cane, ed è spontaneo che ci si saluti, c’è quasi un sottinteso di amicizia, di condivisione. Ave Maria… ed arrivo in reparto. Cosa mi aspetta? Apro le e-mail, riunioni con la Direzione, briefing per sapere come è trascorsa la notte, quanti pazienti attendono il posto da noi, quanti sono da trasferire… e così mille altre cose da fare.
Guardo l’orologio, sono già le 21,00. Reinforco la bici. E’ buio, silenzio e fresco. I pensieri sono positivi, so di rivedere Laura, i figli, i nipotini.
“Nonno, ti ho visto in TV” dice Rebecca, ed un pizzico di orgoglio mi tocca. “Rebi, finisci il S. Rosario con noi?” Ave Maria… “Non ti ho sentito dire le preghiere”, “ma nonno, le ho dette a bassa voce”.
Allora tutti a letto con la certezza che i frammenti di preghiera recitati sono comunque giunti al cuore di Maria.
Pronto per ricominciare il giorno dopo inforcando la mia bicicletta.